Siamo pronti a far parte del cambiamento?
Nel mio nuovo mondo, le giornate non si ripetono all’infinito come in un Truman Show.
Continuo a impostare la sveglia prima di andare a dormire. Per una call di lavoro, una lezione di yoga, un traghetto, un’alba che assolutamente non voglio perdermi.
Vivo di rendita? Mai avuta e mai costruita.
Erano troppi i viaggi zaino in spalla in giro per il mondo per ricaricare le bombole di ossigeno dopo mesi nel cemento, troppe le spese inutili che facevo per coccolarmi e darmi la (sbagliata) giusta ricompensa dopo giornate di dieci ore e più di lavoro, troppo bassi gli stipendi di una donna in Italia anche se manager da anni.
Ho costruito sicuramente, ma sono ancora troppo “giovane” (il virgolettato superati i quaranta è d’obbligo, ahimè) per permettermi di vivere di rendita. Quindi lavoro sì, ma con i miei tempi e nei miei luoghi. Ed è proprio di questi luoghi e di quello che mi hanno insegnato che vorrei parlarvi.
Da quando ho lasciato la mia casa romana (e con lei detto addio a qualsiasi forma di stanzialità), ho vissuto da sola su un’isola in zona rossa, girovagato per l’Italia tra (e con) i miei affetti, vissuto per diversi mesi in un coliving con altre venti persone, viaggiato in sud America sfidando la mia resistenza fisica oltre i 5.000mt di altitudine, esplorato isole che mi erano entrate nel cuore ma avevo attraversato nella fretta dei weekend fuori porta.
Da quando ho lasciato la mia precedente vita ho vissuto!
Il lavoro non è più l’attore protagonista di una serie sempre uguale, ma una comparsa che sa il fatto suo. Entra in scena quando deve (a volte quando vuole), lo fa con la sicurezza di un attore rodato, e va via per la sua strada, lasciando che i veri protagonisti (le mie passioni, i miei affetti, e la mia felicità) si prendano tutto lo spazio che dalla regia sto cercando di dar loro man mano che capisco che sceneggiatura voglio scrivere.
Da quando ho cambiato vita, ho vissuto con ragazzi talentuosi che non hanno mai messo piede in un ufficio, e hanno impostato il proprio lavoro da remoto sin da subito; ho conosciuto altre Barbara che, stanche delle loro prigioni di cemento, hanno optato per un full remote working (illuminate le aziende che lo hanno concesso o semplicemente realiste?); altre che si sono dimesse e fanno le insegnanti di yoga o di windsurf.
Persone molto diverse tra loro, ma con un tratto ben evidente in comune: aver fatto un passo avanti verso la propria felicità le ha rese più soddisfatte del proprio lavoro, più produttive e, perché no, più creative.
Non è forse a questo che le aziende dovrebbero tendere? Un maggiore produttività e una migliore qualità della vita (che faciliti, appunto, questo incremento di produttività) delle proprie risorse. Io credevo di sì, lo credevo davvero, anche prima di cambiare vita. Ma ho dovuto ricredermi, non solo a cause di quello che vedevo da fuori ma anche delle cose che mi diceva chi era ancora dentro:
La fai facile tu. Mica tutti possono permetterselo
Ma tu sei diversa, i dipendenti delle nostre aziende sono diversi
Mica se ne vogliono andare tutti a vivere in un coliving e non fare niente (che poi, proporrei un’esperienza in un coliving a chi la pensa così, poi mi diranno)
O la peggiore: Qui ha sempre funzionato così
Risposte simili si basano sulla convinzione che esistano le cose che si possono fare e quelle che no, un modo giusto di vivere e uno sbagliato, le persone normali e quelle strane. Soprattutto, risposte simili partono dal presupposto che esistano: un (solo) modo di vivere il mondo del lavoro e un altro di non viverlo (quello delle persone incontrate nella nuova vita).
Forse all’inizio (quando ho preso una strada diversa) l’ho pensato anche io, e mi ci sono sentita, strana. Ma oggi, ora che sono dall’altra parte, ho molto più tempo per ascoltare le persone, condividere, ragionare insieme, anche con chi è rimasto ancorato al mio precedente mondo. E ho avuto modo di farlo senza condizionamenti, da nessuna delle due parti.
Quello che posso dirvi dopo questi confronti, è che i vecchi paradigmi della post industrializzazione: 9-17 (più spesso 20), reperibilità h24 che neanche un cardiochirurgo, cartellino da timbrare dentro sedi grigie da raggiungere dopo ore nel traffico, non funzionano più.
E non solo per le Barbara, non solo per quelli strani. Quei paradigmi non si allineano più con le esigenze e le vite di tante persone che, viste da fuori, sembrano essere molto più allineate al sistema delle Barbara. È con (e per) loro che vanno trovate una, dieci, centro vie differenti che consentano di dare il proprio contributo nel mondo del lavoro.
È giunto il momento di passare dalla condivisione sui social di articoli sulla YOLO (You Only Live Once) economy e sulle Grandi Dimissioni al contributo attivo di ognuno. Un contributo che possa indirizzare questo cambiamento, rendendolo parte integrante delle nostre vite, dentro e fuori le aziende, senza lasciare che ci travolga.
Non è detto che il contributo consista nel lasciare la propria casa, l’azienda, gli affetti. Ma per dare una svolta e mettere un freno a ritmi di lavoro e di vita che vanno contro la vita è indispensabile non restare inermi. Quello sì, non basta solo lamentarsene al bar.
La faccio facile eh? Come si fa? Fermandosi e ascoltando, prima di tutto.
Ascoltando noi stessi, chi ci è vicino e chi lavora con noi ogni giorno. Trascorriamo con loro più tempo che con le nostre famiglie, com’è possibile che non ci si fermi a capire chi sono realmente queste persone? Che non ci si chieda: Carlo è davvero indispensabile che venga in ufficio tutti i giorni? Adriana non era più felice e produttiva quando lavorava da casa? E ancora: Se si lavorasse per progetto, Laura rimarrebbe? Matteo potrebbe lavorare con un part-time verticale (per giorni, settimane, mesi) senza per forza rinunciare alla propria crescita professionale ed essere relegato tra i dimenticati?
Queste sono solo alcune delle decine di domande che ci faremmo se ci mettessimo in ascolto. Ma prima di tutto, prima di vagliare possibili risposte e soluzioni a domande e problematiche specifiche, dovremmo iniziare da due quesiti che riguardano noi e le persone con cui lavoriamo:
Questo tipo di vita mi rende felice?
Sono in grado di trattare le persone come adulti (in grado di gestire le proprie ore, giornate, mesi)?
La vita scorre e potremmo accorgerci di averla vissuta a metà quando sarà ormai troppo tardi e nella clessidra saranno rimasti pochi granelli di sabbia.
(Sta a noi decidere se il sole dell’immagine, ripreso oggi dall’isola de La Graciosa, sia un’alba o un tramonto)
Scrivevo queste righe a due anni dalla mia uscita da quello che definivo il rituale del criceto.
Oggi, gennaio 2025, allo scoccare dei quattro anni, mi rendo conto di quanto tutto ciò sia ancora più urgente e reale.
Prima lo si comprende, più possibilità ci sono di costruire un mondo in cui Quite Quitting non vuol dire fregare il sistema, ma creare un concreto e sano equilibrio vita-lavoro.
Che, per inciso, gioverebbe tanto ai lavoratori quanto alle aziende.
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