Colombia | Trekking fino alla Ciudad Perdida
Quattro giorni. Sessantaquattro chilometri. Tre campi base.
Correva l’anno 2018, avevo appena attraversato la Colombia zaino in spalla e l’idea era di fare un trekking di qualche giorno prima di andare in esplorazione sulla costa caraibica.
Mi sono ritrovata a vivere la Sierra Nevada – con la sua foresta fatta di alberi sconosciuti e immensi, ruscelli e fiumi in piena da attraversare, ragni grandi quanto una mano e farfalle grandi quanto due – e visitare un sito archeologico più antico di seicento anni rispetto al Machu Picchu. Ma soprattutto, ho interagito con le tribù locali, entrando in contatto coi modi di vita e gli equilibri che si sono creati negli anni tra indios, campesinos e la macchina del turismo che, partita con vent’anni di ritardo rispetto ai cugini peruviani, forse proprio per questo ci si augura avrà maggior rispetto per luoghi, cultura e storia.
Dona il poporo ai maggiorenni maschi, dando loro il diritto di masticare foglie di coca e affrontare così con più forza la dura vita della Sierra.
Le donne no, non possono, devono sentire su di loro tutto il peso della foresta. Non possono masticare coca, non possono calzare scarpe, non possono portare le borse a spalla ma solo come fossero una strana fascia sulla testa.
A diciotto anni i maschi ricevono in dono dal mamo la loro prima sposa, più grande perché possa insegnare loro le arti dell’amore, dopodiché possono decidere di abbandonarla per sposarne una della loro età.
Se fai qualcosa di male come Andreas (pare abbia irrispettosamente preso in giro la figlia del mamo, ma in realtà dice che è stato il suo amico. Chissà, ha lo sguardo sveglio Andreas) il mamo ti punisce e ti manda per un anno a vivere in un’altra tribù, senza più contatti con la tua vita e la tua famiglia.
Andreas (che oltre lo sguardo vispo ha anche le idee chiare) ha scontato la sua pena ma mi sa che resta dove sta: diciassette anni, una moglie nella nuova tribù, continuerà gli studi e diventerà professore. Sì, perché alcuni eletti possono anche andare a scuola, imparare a leggere e scrivere e continuare una vita diversa. Ma solo i prescelti, e rigorosamente solo se uomini.
Alejandra – la nostra cucinera tretatreenne con tre figli a casa, ha finalmente capito chi è da quando ha iniziato questo lavoro due anni fa. Ora vuole studiare inglese e fare il corso per diventare guida. Lei, che è sempre la prima a spostarsi da un campo all’altro e che conosce tutti i bambini per nome, tornerà a casa stasera per salutare velocemente la famiglia, e poi ripartire domani con un nuovo gruppo per altri quattro giorni – dà da mangiare a Carmen e le sue sorelle, le obbliga a sedersi e mangiare con il cucchiaio.
Loro non è che le diano sempre retta. Fanno finta, spostano una sedia e poi di nuovo via, piatto penzolante in una mano, patata in un’altra.
È curiosa Carmen, prova i miei occhiali, scherziamo a farci smorfie, mi chiede dell’accendino. E si, perché pare che i bimbi del posto amino accendere fuochi per gioco.
Il fuoco, tutto nella capanna di banano e fango che è la loro casa ruota intorno al fuoco: ci si cucina, ci si scalda e allontana le zanzare.
E’ per questo che Carmen porta sempre con sé quello strano odore di fumo e paglia. Che stride ancor di più con quel bianco degli abiti. L’unico colore che indossano, per ricordare e omaggiare la Sierra Nevada.
Ma tutto questo è solo una parte della storia.
Ma il vero motivo, quello originario, per cui mi sono ritrovata nel bel mezzo della foresta, è la Città Perduta, che in realtà per gli indigeni è la Città Santa e per i Guajero che la scoprirono, l’Inferno Verde.
Quanti nomi per questo sito che ha una storia più antica quanto il MachuPicchu e che ogni settembre ancora svolge la sua funzione di luogo di incontro e di culto di tutte le tribù locali, quando i mamo e alcuni eletti si incontrano per condividere pensieri, prendere decisioni e omaggiare le proprie divinità.
Come tutta la Colombia, anche questo luogo incredibile ha avuto un ruolo attivo nel recente passato della nazione.
Per paura che le cose peggiorassero ulteriormente, Francisco si rivolse alla giustizia, dichiarò la scoperta e fece sì che l’esercito occupasse la zona. Ma non solo, in quanto conoscitore della conformazione originaria delle pietre e della città prima dei saccheggiamenti a cui aveva preso parte, divenne consulente dello stato per i successivi sei anni, finché la città non fu ricostruita.
A quel punto, perso anche questo impiego, l’agricoltore-saccheggiatore-archeologo iniziò a girare per le vicine spiagge caraibiche dove i colombiani facoltosi trascorrevano le vacanze, mostrando foto di questo luogo incantato e organizzando i primissimi “Groupos de Caminante” che in sette giorni andavano e venivano da quell’ Inferno Verde che lui stesso aveva scoperto.
È strano vedere gli occhi di Saul, la nostra guida, diventare lucidi quando ci racconta di come venti anni fa ha iniziato trasportando vettovaglie e tende da campo proprio con Rea, di fatto la prima guida di sempre della Ciudad Perdida.
Da cinque anni ci sono fornelli a gas (rigorosamente trasportati dai muli) e da tre mesi (mi racconta Marco, unica guida italo-colombiana che non vedeva l’ora di scambiare due chiacchiere in torinese con una romano-avellinese) depuratori per filtrare e bere l’acqua del fiume che scende dalla punta Nevada, così magari si evitano le file chilometriche agli unici quattro bagni per accampamento quando gli ospiti hanno un attacco di dissenteria in contemporanea.
Se queste buone notizie non bastassero, vorrei rassicurarvi sul fatto che
– il FARC non coltiva più coca sui rigogliosi pendii della Sierra, irrigati dal Nevado e a favor di sole tutto l’anno
– l’ultimo rapimento di turisti da parte del stesse Forze Armate Rivoluzionarie risale al 2003 (quando 8 turisti vengono tenuti prigionieri per 101 giorni)
– e la zona è completamente militarizzata per la sicurezza di tutti.
Quindi?
È faticoso? Claro que si.
Vale la pena affrontare una tre giorni di cammino e docce alla meno peggio nei fiumi e dormite su amache o panche di legno? Vale ogni singola goccia di sudore.
Quando? Il prima possibile.
Buen Camino!
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