Guatemala | Sandra e l’anello

Esiste una linea di confine tra età del gioco ed età adulta? E' possibile individuare il momento preciso in cui si smette di esser bambini? Viaggiare, oltre a riempire occhi e cuore, aiuta a rispondere a domande che difficilmente ci poniamo nella frenetica quotidianità.
Il Guatemala è tutto quello che ci si aspetta dal Centro America, e qualcosa in più.
Siti Maya da raggiungere con ore di viaggio nella giungla, strade di ciottoli e marciapiedi alti a bloccare l’acqua della stagione delle piogge, case coloniali dai colori pastello, vulcani e foreste pluviali all’orizzonte.
Sono state settimane intense. Zaino in spalla, chicken bus da est a ovest con pochissimi stranieri, minibus guidati a tutta velocità da nord a sud su stradine di campagna avvolte nella nebbia. Incontri con persone accoglienti e tristi, schive e solari. Si respira storia a ogni angolo e, insieme, nessuna aspettativa sul futuro. Settimane intense che stanno volgendo al termine.
A poche ore dalla partenza ho la sensazione di aver dimenticato qualcosa, capisco cosa quando arriva il momento di chiudere lo zaino. Da qualche anno ho preso l’abitudine, alla fine dei miei viaggi, di lasciare un paio di sneakers a continuare il loro cammino per me nelle terre che lascio. Mi rendo conto solo in quel momento che questa volta no, non ne ho da lasciare, a meno di non proseguire in infradito verso l’aeroporto.

E ora?
Non posso partire senza lasciare qualcosa alle mie spalle, è come non esser mai stata qui.
Poi, all’improvviso, mentre disfo e riorganizzo le poche cose che ho alla ricerca di qualcosa di utile, il segno bianco sul mignolo destro mi fa tirare un sospiro di sollievo. Questa volta ho lasciato qualcosa di più, un pezzo di me.

Lei si chiama Sandra, o meglio così si fa chiamare da noi gringos. In fin dei conti, americani o non poco importa, siamo tutti un po’ gringos in Centro America.
Ha otto anni, l’età di mia nipote. Ogni giorno cammina su e giù per lo sterrato che porta alle cave e ai laghetti, dove noi turisti (viaggiatori mi piace pensare, visto che siamo qui sperduti in the middle of nowhere) trascorriamo le nostre giornate.
Avanti e indietro. Tutto il giorno.
Vende cerchi di cioccolata fatta in casa da mamma e sorelle grandi, avvolti in un po’ di stagnola.
Due pezzi, mezzo dollaro.
La sera poi – chi cena, chi beve, chi fa giochi di società o legge un libro – Sandra viene a trovarci sulla terrazza di legno e foglie di banano appena fuori dalle nostre casette. Arriva con il cestino, lo stesso che ha portato su e giù dal mattino presto.
In pochi comprano la cioccolata la sera (lo hanno già fatto durante il giorno e, non si sa come mai, un dollaro al giorno pare sia sufficiente come aiuto del viaggiatore tipo. Me compresa alle volte).

Lei, però, non si dà per vinta e resta vigile. Anche mentre gioca con noi, intenta a far girare in ogni parte del corpo l’hula hoop di alcune ragazze svedesi, non toglie gli occhi dall’ingresso della terrazza.
Quando li vede arrivare, i nuovi viaggiatori del track delle diciannove, molla l’hula hoop, prende la cioccolata e inizia il suo lavoro. E’ lí per quello, non per giocare.

Proviamo a convincerla a restare, ma nulla. Solo quando riusciamo a farle vendere due pezzettini torna a giocare con noi.
Forse mezzo dollaro è la base senza la quale non le è concesso rientrare a casa la sera. O forse semplicemente ha già capito che non ne venderebbe di più, non stasera.
Non importa il motivo. Quello che conta è che è felice. O così ci piace credere.
Mi prende il telefono di mano e inizia farci foto, ci trova buffe.
Tra un gioco e l’altro ringrazia per il tempo insieme. E’ dopo uno dei mille grazie che mi chiede degli anelli. Perché ne porto così tanti? Al tempo non avevo una risposta, e resto in silenzio. Allora prova con un’altra domanda “Domani ci vedremo? Giocheremo insieme di nuovo?” Mentre le rispondo “no, devo partire, ho un aereo e prima di quello una traversata in bus di dieci ore”, in quello stesso preciso istante, l’anello non ha più senso stia al mio di dito. Diventa il suo.

La cosa più incredibile?
Lo proviamo a tutte le dita, l’unico in cui le entra è il mignolo, il destro. Il mio. Lo stesso.
Capisco solo allora che ha già iniziato a lavorare anche lei la cioccolata. A schiacciarla con forza, tra legno e pietra.
Capisco che quelle dita sono molto più adulte della loro età.
Capisco che no, non c’è una linea di confine tra età del gioco ed età adulta.
Ci sono luoghi dove si ha la fortuna di viverla un’età del gioco, e altri in cui è un attimo rubato tra un mortaio e una carezza condiscendente di un turista. Lo ricordiamo troppo poco, nelle nostre parti fortunate del mondo, e la releghiamo troppo spesso a una singola fase della vita. Non comprendendo che l’età del gioco non ha confini, ma solo attimi e luoghi fortunati in cui agirla. Anche nell’età adulta.

Continua a leggere