Madagascar | 100km in stile malgascio
Della differenza tra viaggio e vacanza. Del tempo fuori dal tempo. Di ritmi lenti e paradisi terrestri. O forse, più di ogni cosa, della caparbietà e dell'incoscienza che, aiutate da un pizzico di fortuna, ci aiutano a vivere esperienze che rimarranno indelebili per tutta la vita.
Sei del mattino, pronta a partire alla volta dell’Isle de Saint Marie, l’autista che mi accompagna per una parte del viaggio mi comunica che a causa del maltempo il governo ha annullato tutte le connessioni. A tempo indeterminato.
Superato lo sconforto iniziale, non sento ragioni: DEVO raggiungere il mio paradiso terrestre, un altro modo DEVE esserci. E in effetti c’é: quello malgascio. Lo stesso che connette l’isola alla terra ferma da secoli. Se funziona da secoli, funzionerà anche oggi!
Le reticenze dell’autista (convinto non sia un tipo di viaggio adatto a noi “bianchi”) non bastano a dissuadermi e venti minuti dopo partiamo direzione Ivongo.
Le due ore che ci separano dal porto sono un susseguirsi di capanne di bambù in foreste tropicali, dove il macete per farsi strada nella giungla si impara a utilizzare prima della forchetta, ogni superficie priva di alberi maggiore di 10mq diventa un campo di calcio e una vecchia ruota di bicicletta il gioco più ambito.
Superato lo sconforto iniziale, non sento ragioni: DEVO raggiungere il mio paradiso terrestre, un altro modo DEVE esserci. E in effetti c’é: quello malgascio. Lo stesso che connette l’isola alla terra ferma da secoli. Se funziona da secoli, funzionerà anche oggi!
Le reticenze dell’autista (convinto non sia un tipo di viaggio adatto a noi “bianchi”) non bastano a dissuadermi e venti minuti dopo partiamo direzione Ivongo.
Le due ore che ci separano dal porto sono un susseguirsi di capanne di bambù in foreste tropicali, dove il macete per farsi strada nella giungla si impara a utilizzare prima della forchetta, ogni superficie priva di alberi maggiore di 10mq diventa un campo di calcio e una vecchia ruota di bicicletta il gioco più ambito.
Ivongo si compone di un’unica strada, pulsante di vita, che porta dritta in discesa al fiume, al mare, alla mia isola.
Un uomo al molo mi mostra quella che sembra una vecchia mappa del tesoro. Seguo con lo sguardo il suo dito che percorre un una doppia linea continua con al centro il disegno di una barchetta, a cui segue quello di un’auto con ruote più grandi dell’abitacolo, per concludersi con l’immagine di una barca più grande. Sarà quella che mi porterà finalmente a destinazione.
Al mio cenno di assenso, appunta il nome (o comunque quello che riesco a trasmettergli nella mia lingua) su un quaderno annerito, consumato dal sale, e di fianco scrive 10.30. Sarà quella l’ora in cui salperemo.
Dopo aver comprato qualche banana per il viaggio (in tutto impiegheremo quattro ore), alle 10.15 sono sulla piroga, ammassata con una ventina di passeggeri, buste in carta di riso e il mio fido zaino, l’unico bagaglio in forma di bagaglio.
Un uomo al molo mi mostra quella che sembra una vecchia mappa del tesoro. Seguo con lo sguardo il suo dito che percorre un una doppia linea continua con al centro il disegno di una barchetta, a cui segue quello di un’auto con ruote più grandi dell’abitacolo, per concludersi con l’immagine di una barca più grande. Sarà quella che mi porterà finalmente a destinazione.
Al mio cenno di assenso, appunta il nome (o comunque quello che riesco a trasmettergli nella mia lingua) su un quaderno annerito, consumato dal sale, e di fianco scrive 10.30. Sarà quella l’ora in cui salperemo.
Dopo aver comprato qualche banana per il viaggio (in tutto impiegheremo quattro ore), alle 10.15 sono sulla piroga, ammassata con una ventina di passeggeri, buste in carta di riso e il mio fido zaino, l’unico bagaglio in forma di bagaglio.
Sotto l’attenta direzione del capitano inizia un valzer durante il quale l’unico obiettivo che ci prefiggiamo e non cadere nel fiume: tutti a poppa; no meglio tutti a prua, la barca è più stabile; aspetta però, la gente non passa, mettiamo i sacchi uno sull’altro, facciamo un’unica montagna e copriamola con un telo per la pioggia.
10.30 tutti seduti, barcaiolo a poppa, siamo pronti a partire. Puntuali come non mai. Chissà perché l’autista era tanto contrario a farmi partecipare all’allegra brigata.
Motore acceso, qualcuno indica un sacco più grande degli altri, dai gesti capisco che manca il proprietario. Aspettiamo, 10.45, 11.00…non arriva nessuno a reclamarlo. Il barcaiolo prende in mano la situazione, di nuovo, lo lancia a terra a un collega.
Un sorriso sul volto di tutti i naviganti.
10.30 tutti seduti, barcaiolo a poppa, siamo pronti a partire. Puntuali come non mai. Chissà perché l’autista era tanto contrario a farmi partecipare all’allegra brigata.
Motore acceso, qualcuno indica un sacco più grande degli altri, dai gesti capisco che manca il proprietario. Aspettiamo, 10.45, 11.00…non arriva nessuno a reclamarlo. Il barcaiolo prende in mano la situazione, di nuovo, lo lancia a terra a un collega.
Un sorriso sul volto di tutti i naviganti.
Dopo qualche altro piccolo inconveniente (nel trambusto del rimessaggio bagagli, l’uomo sulla banchina deve aver dimenticato di staccare la fune che lega la barchetta al molo e al primo colpo di motore si spezza) siamo pronti, finalmente si va! O almeno così pensiamo, finché qualcuno dal molo non fa segno di tornare indietro.
Il capitano della fregata pluviale sembra imprecare in malgascio ma non lo da a vedere e quando si volta verso la terraferma sorride e fa retromarcia.
La padrona del bagaglio abbandonato è arrivata. Non si può lasciarla a terra, la prossima barca è domani.
Il capitano della fregata pluviale sembra imprecare in malgascio ma non lo da a vedere e quando si volta verso la terraferma sorride e fa retromarcia.
La padrona del bagaglio abbandonato è arrivata. Non si può lasciarla a terra, la prossima barca è domani.
Qualcuno la aiuta a saltare da una piroga all’altra ed eccola qui, ci siamo tutti.
Equipaggio al completo, iniziamo la discesa del fiume fino al mare.
Lasciamo via via persone su moli improvvisati lungo il tragitto. C’è chi attraversa chilometri a piedi dal villaggio più vicino solo per salutare questo o quel passeggero. Incrociamo altre barche, altri pescatori, altri villaggi pluviali mentre il sole fa contende il suo spazio con la pioggia e il vento sembra aiutarci nel nostro percorso verso la foce.
Poco più di un’ora e siamo a destinazione, niente male!
Equipaggio al completo, iniziamo la discesa del fiume fino al mare.
Lasciamo via via persone su moli improvvisati lungo il tragitto. C’è chi attraversa chilometri a piedi dal villaggio più vicino solo per salutare questo o quel passeggero. Incrociamo altre barche, altri pescatori, altri villaggi pluviali mentre il sole fa contende il suo spazio con la pioggia e il vento sembra aiutarci nel nostro percorso verso la foce.
Poco più di un’ora e siamo a destinazione, niente male!
Da quanto ho capito della traduzione dell’autista, un 4×4 dovrebbe attendere l’arrivo delle piroghe per il trasferimento successivo ma dopo due settimane in Madagascar l’ho imparato anche io: siamo nella terra del mora mora (piano piano), non mi aspettavo di certo di trovarlo lì.
Cionostante, le mille rassicurazioni al porto di Ivongo sull’orario di arrivo sull’isola mi danno un’insana e folle fiducia.
All’arrivo della pioggia torrenziale, mi riparo nell’unico capanno della landa deserta al limitare della foresta.
Un tetto di foglie di banano, qualche asse di legno a fare da tavolo, una cucina a vista con fuochi naturali. Il fatto che tutti mangino tranquilli avrebbe dovuto farmi pensare.
Cionostante, le mille rassicurazioni al porto di Ivongo sull’orario di arrivo sull’isola mi danno un’insana e folle fiducia.
All’arrivo della pioggia torrenziale, mi riparo nell’unico capanno della landa deserta al limitare della foresta.
Un tetto di foglie di banano, qualche asse di legno a fare da tavolo, una cucina a vista con fuochi naturali. Il fatto che tutti mangino tranquilli avrebbe dovuto farmi pensare.
Ma sono serena, ignara che avrei trascorso le due ore e più successive giocando con alcune bimbe a far foto stupide che creano più ilarità di un cartone di Peppa Pig da questa parte di mondo; leggendo su un kindle che attira le curiosità di adulti i quali, una volta spiegata loro la funzione che svolge, mi chiedono perché c’è bisogno di portare con sé tutti questi libri, non è meglio parlare?; sonnecchiando sulla spiaggia insieme a caprette zoppe, tra uno squarcio di sole nelle nubi e corse improvvise allo scrosciare del temporale.
Quando finalmente il nostro 4×4 si vede all’orizzonte sono le 15.30.
La seconda parte del viaggio inizia con le grandi manovre tra incastri di valige sul tetto, puzzle di persone nel retro, martellate sospettose e sicure all’interno del cofano aperto. Terminata la preparazione siamo diciotto passeggeri più un autista e due assistenti che, in piedi sulle gonnelle della wolksvagen cinque posti, daranno stabilità nelle curve e sui dossi più insidiosi. In quanto unica straniera mi sono guadagnata di diritto un posto a sedere sul sedile posteriore, al centro, schiacciata insieme ad altre quattro donne e un neonato.
Novanta minuti di saliscendi su dune di sabbia alte un metro, guadando pozzanghere che sembrano laghi, con sale e foglie di bambù (maneggiate dagli indispensabili assistenti di guida) a pulire il vetro privo di tergicristalli. Non ricordo una montagna russa più emozionante.
La seconda parte del viaggio inizia con le grandi manovre tra incastri di valige sul tetto, puzzle di persone nel retro, martellate sospettose e sicure all’interno del cofano aperto. Terminata la preparazione siamo diciotto passeggeri più un autista e due assistenti che, in piedi sulle gonnelle della wolksvagen cinque posti, daranno stabilità nelle curve e sui dossi più insidiosi. In quanto unica straniera mi sono guadagnata di diritto un posto a sedere sul sedile posteriore, al centro, schiacciata insieme ad altre quattro donne e un neonato.
Novanta minuti di saliscendi su dune di sabbia alte un metro, guadando pozzanghere che sembrano laghi, con sale e foglie di bambù (maneggiate dagli indispensabili assistenti di guida) a pulire il vetro privo di tergicristalli. Non ricordo una montagna russa più emozionante.
Avvistiamo il mare, ci siamo quasi, il più è fatto e il mago del rally che ci ha portato fin lì ha chiamato la barca per avvisare del nostro arrivo perché si faccia trovare pronta per la traversata prima del tramonto. Sarà lì, sono certa che questa volta la mia fiducia non sarà disattesa.
Qualche minuto e il blob umano si riversa dall’auto alla spiaggia, davanti a noi si apre una distesa di sabbia bianca intervallata solo da qualche palma e un paio di piroghe addormentate al vento. Corro verso il mare piena di speranza: niente altro sulla riva, nulla all’orizzonte.
Non mi resta che continuare a giocare con le bimbe, che ormai mi fanno il verso e ripetono in italiano tutte le parole che dico tra una corsa e un’altra.
E’ notte ormai quando ci dicono di salire su una barca che, a vederla oggi, non mi stupirebbe fosse proprio quella di “Io Capitano”. Sette anni fa, ai tempi di questo viaggio, Garrone non aveva ancora diretto il film ma le immagini dei migranti naufraghi nel mar Mediterraneo erano fin troppo vivide per non provare un brivido mentre, indossato un giubbotto di salvataggio che neanche quello del rafting nelle Marmore, mi rendo conto di far parte della conta passeggeri.
Sono un numero, una nazionalità, un sesso, da comunicare in caso di problemi.
E’ notte ormai quando ci dicono di salire su una barca che, a vederla oggi, non mi stupirebbe fosse proprio quella di “Io Capitano”. Sette anni fa, ai tempi di questo viaggio, Garrone non aveva ancora diretto il film ma le immagini dei migranti naufraghi nel mar Mediterraneo erano fin troppo vivide per non provare un brivido mentre, indossato un giubbotto di salvataggio che neanche quello del rafting nelle Marmore, mi rendo conto di far parte della conta passeggeri.
Sono un numero, una nazionalità, un sesso, da comunicare in caso di problemi.
Appuntati i nomi dei passeggeri su un foglio di carta alla luce di una torcia del telefono, un altro assistente (di navigazione questa volta) sale sul bordo della barca a fare da faro e bussola nel buio pesto della notte malgascia. Non ricordo altro di quella parte di traversata. Non ricordo se ho respirato, se ho parlato, se ho sorriso. Forse ho pregato, io che a memoria l’ultima volta l’ho fatto in playback quando ho testimoniato al matrimonio di alcuni amici.
Ricordo però la sabbia sotto i piedi una volta attraccati, l’aria salmastra che sapeva finalmente di buono, il vento che faceva risuonare le foglie di banano al solo chiarore della luna. Era quello il paradiso che bramavo e le quattordici ore per percorrere poco meno di centro chilometri lo avevano reso ancora più reale.
Ricordo però la sabbia sotto i piedi una volta attraccati, l’aria salmastra che sapeva finalmente di buono, il vento che faceva risuonare le foglie di banano al solo chiarore della luna. Era quello il paradiso che bramavo e le quattordici ore per percorrere poco meno di centro chilometri lo avevano reso ancora più reale.
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