Myanmar | Quando la luce smette di splendere

Di quando ti rendi conto che la bellezza non basta, non la bellezza dei luoghi e neanche la bellezza di un popolo. Ci sono Paesi che, per quanto ce la mettano tutta, continuano a soccombere sotto la prepotenza del più forte.
In un pomeriggio di fine maggio che pare di essere in pieno novembre, tastiera pronta e foglio sempre più bianco, guardo oltre il vetro, sulla valle di ulivi che ce la stanno mettendo tutta a resistere dopo l’ennesimo acquazzone fuori stagione.
Senza accorgermene inizio a girovagare su Viaggiare Sicuri, il sito della Farnesina, immaginando quali mete siano raggiungibili, o anche solo per vedere che si dice in giro per il mondo. Per saperlo davvero, senza fermarmi a quello che il mondo (e i giornali) vuole che io sappia. L’occhio cade sull’ultimo Paese visitato prima della pandemia, quello da cui sono rientrata, passando per la Cina, poco prima che chiudessero ogni frontiera.
Il sito del Ministero non lascia spazio a fraintendimenti: in Myanmar è meglio non andarci. Ancora, di nuovo, per l’ennesima volta.
“Alla luce della protratta situazione di crisi, causata dal colpo di Stato del 1 febbraio 2021, nonché dalla conseguente situazione di conflitto in molte aree del Paese e delle precarie condizioni sanitarie, si sconsigliano i viaggi in Myanmar.
Le condizioni di sicurezza continuano, infatti, a risultare gravemente deteriorate e la situazione é fortemente instabile, con un incremento delle violenze in diverse parti del Paese. Le manifestazioni di protesta vengono represse, sovente con l’uso della forza, e gli attacchi agli obiettivi militari ingenerano risposte su vasta scala, incluso attraverso i bombardamenti aerei delle aree limitrofe.
In tutto il Paese è vietato incontrarsi in luoghi pubblici in più di 5 persone ed è in vigore un coprifuoco notturno con orari variabili, a seconda della località (attualmente, dalla mezzanotte alle 04:00 a Yangon, Mandalay e Nay Pyi Taw). In alcune Townships del Paese (tra cui anche a Yangon e Mandalay, oltre che nelle Regioni di Sagaing, Magway, Bago e Tanintaryi e negli Stati Chin, Mon, Kayin e Kayah) è stata imposta la legge marziale.”
La mente corre al mio arrivo sul finire del 2019, qualche giorno prima di capodanno (un capodanno che ricorderò per sempre e di cui parlo in un altro articolo) e un anno prima dell’ultimo (ennesimo) colpo di Stato.
Dall’aereo, di notte, Yangoon è un unico fascio di luce che si irradia dal centro alla prima periferia. Quel centro sembra un campo di calcio la sera della finale di Champions, un cuore pulsante in un momento di festa che è in grado di illuminare tutto intorno.
Espletate le incombenze doganali (nessuna attesa ai bagagli visto che porto i miei dieci chili sempre con me), in taxi percorro strade deserte e dimentico per un pò quella luce.
Dal finestrino giardini impeccabili che il mattino successivo scoprirò essere ancora più magnificenti considerata la povertà e il caldo che li circondano, avvolgendoli senza riuscire a sovrastarli.
Nessun tuc tuc che corre all’impazzata alla ricerca della prossima corsa da contrattare con ricchi turisti per una manciata di kyat, poche pochissime auto, il buio tutt’intorno e nessun rumore…molto diversa dalla vicina Bangkok.
Poi, all’improvviso, di nuovo quella luce abbagliante.
Una luce calda e fredda al tempo stesso taglia la notte e si fa strada oltre la linea di edifici in linoleum e cemento di terz’ordine. Sembra albeggi.
Man mano che ci avviciniamo capisco che forse è proprio ciò che fa: lei, la piramide d’oro illuminata della Shwedagon pagoda (ora so da dove proviene la luce), indica la strada e illumina la notte come il sole all’alba.
Uno spettacolo unico.
Il mattino successivo la raggiungo convinta di visitare un tempio: grande sì, ma nulla di più. In particolar modo di giorno, quando la luce non può esprimere al meglio la forza e l’imponenza della sera precedente.
Lascio le scarpe all’ingresso e mi avvio a piedi nudi. Un ascensore, un ponte, un ingresso quasi nascosto.
Fedeli in ginocchio a pregare dinanzi a un albero, un Budda, famiglie pasteggiano protette da una tettoia, qualcuno legge il giornale mentre altri sonnecchiano sotto un albero che, chissà, sarà sacro anche lui.
Bello, intenso, ma nulla che non avessi già visto in altri templi, in altri Paesi, in altri viaggi.
Seguo l’istinto, o forse seguo qualcuno che attira la mia attenzione più di altri.
L’intento (e l’aspettativa soprattutto) è quello di scattare qualche foto per il post della sera, quello in cui comunicherò al mondo (al mio piccolo pezzo di mondo) che sono atterrata e sono ancora viva.
Girato l’angolo, però, mi si apre l’inaspettato. Fiori, ghirlande, Budda, Stupa, elefanti, monaci, bimbi, donne, uomini…vita.
Vita colorata, e rumorosa, e silenziosa. Semplicemente e incredibilmente vita.
Non so se di questo o di un altro mondo: l’intensità che la attraversa arriva da secoli, millenni lontani e arriva a fermare il tempo, a spezzarne il concetto stesso.
Trascorro ore, a piedi nudi, camminando senza meta tra quei templi, sotto quegli alberi, sfiorando con lo sguardo tutta quell’umanità. E sono sembrati attimi.

Guardo fuori, oltre la finestra chiusa.
Gli ulivi, la pioggia, il foglio non più bianco.
Chissà oggi quelle famiglie numerose, chissà se hanno ancora un albero sotto il quale ritrovarsi.

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